“Sono pigro, sono indolente…”.
Quante delle persone con cui lavoro, me lo dicono? Per spiegarmi come mai non ottengono i risultati che loro o la loro famiglia desiderano, come mai non hanno un lavoro, o non si allenano, o non riescono a portare avanti un regime alimentare sano, o non si attivano durante le loro giornate?
Tante.
A volte non riescono neppure a risalire a quando hanno iniziato a pensarsi, e quindi a definirsi pigro o indolente. “E’ da sempre…”, “anche a scuola me lo dicevano”, “sono fatto in questo modo…”. Ma siamo proprio sicuri che sia così?
Io non seguo persone con un “disturbo pigro di personalità”. Che io sappia, sul DSM-V (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, redatto dalla American Psychiatric Association, APA nel 2012), il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, non esiste questa categoria diagnostica.
La Treccani definisce così i due termini:
- pigro: “di persona che, per natura, rifugge dalla fatica, dallo sforzo, dall’impegno fisico o intellettuale, e dall’azione in genere, o che agisce e opera con lentezza e senza entusiasmo”;
- indolente: “di persona che non reagisce o reagisce lentamente agli stimoli esterni; quindi apatico, pigro, fiacco nei movimenti e nell’operare”.
Quel “per natura”, sembra proprio confermare l’idea che una persona possa nascere così, che sia un problema temperamentale, genetico. Non c’è niente di scientifico in questa definizione, eppure la consideriamo vera.
E il grande problema nell’essere definiti, o nel definirsi, così, è proprio questo: ci crediamo.
E se io credo di essere, per natura, indolente, lento, pigro, intollerante alla fatica e allo sforzo, come potrò approcciarmi a qualcosa che implica proprio uno sforzo e una fatica? È logico, lineare: non ne sono capace, per cui, come potrei?
Quindi, perché non partiamo da dove si è formata questa idea di te? Da quanto ti senti, e ti vivi così? Per poi arrivare al fatto che non ingaggiarti in nuove esperienze (lavorative, sociali, affettive, di qualunque genere), di fatto, è la massima protezione che hai per non confermare l’idea di te di non essere in grado?
L’ evitamento a confrontarsi con le esperienze è quindi una difesa, che potete immaginare come meglio si abbina alla vostra fantasia: a Smaug de lo Hobbit, a Lucifer della omonima serie tv, a Jabba di Star Wars, a Karev di Grey’s Anatomy, a Frank di Shameless, a Furia Buia di Dragon Trainer, al disturbo ossessivo compulsivo di Melvin Udall di “Qualcosa è cambiato” (eh sì, anche i sintomi hanno funzione di difesa).
Una difesa, è una parte di noi che ci difende da qualcosa, o meglio: è una parte di noi che difende una (altra) parte di noi. Una parte vulnerabile, antica, che spesso risale a quando eravamo piccoli, che si è sentita ferita, o non vista, o criticata, umiliata.
Ed è tramite il lavoro in psicoterapia EMDR con la difesa (sì, ho proprio detto “con”, non “contro”), che possiamo arrivare ad aiutare le nostre parte ferite. E a scoprire che quel bambino definito per natura indolente, in realtà era un bambino triste, o non riconosciuto, o preoccupato, o spaventato.
Think about.