Ieri una detenuta tedesca ha tentato di uccidere i suoi due figli nella sezione nido del carcere romano di Rebibbia dove era collocata a seguito di reati legati agli stupefacenti. La sezione nido permette alle donne di poter scontare la detenzione insieme ai propri figli, senza doversene separare, fino al terzo anno di etá dei bambini.
Il figlio più piccolo, di quattro mesi, è morto a seguito del trauma, il maggiore, di due anni, è stato trasferito in codice rosso all’ospedale Bambino Gesù dove versa in condizioni particolarmente critiche.
Alcune fonti riportano che al mattino la donna avesse avuto un colloquio con dei familiari, e che questo l’avesse scossa; altre riportano che fosse preoccupata per il futuro dei propri figli; altre ancora che niente facesse presagire l’epilogo di ieri.
L’infanticidio e il neonaticidio sono gesti tabù nella nostra cultura, e l’ipotesi che questi avvengano all’improvviso, senza spiegazione, generalmente ci riempie d’angoscia perché il pensiero va al “ma quindi può capitare anche a me?”, “quindi il raptus esiste?!”.
Vorrei quindi portare un po’ di chiarezza in queste paure: il raptus omicida non esiste, non esiste “qualcosa” che si impossessa di persone sane e gli fa compiere cose che non vorrebbe.
Il neonaticidio avviene generalmente entro la prima ora dalla nascita e viene chiamato così se la vittima ha meno di 24 ore di vita ed è comune nelle donne che negano la gravidanza e l’esistenza del feto a sè stesse e agli altri; possono soffrire di dissociazione e amnesia e non ricordare nulla.
Gli infanticidi possono essere compiuti da persone con una psicopatologia grave in atto, più spesso deliri e psicosi, patologie nelle quali c’è un’alterazione del rapporto con la realtà, a volte perfino al fine di “salvare” i propri figli da un futuro che si considera intollerabili, o da persone con importanti disturbi della personalità e difficoltà nella gestione nella regolazione emotiva (impulsività e aggressività).
Queste premesse spiegano come le condizioni psicopatologiche possono essere dei fattori predisponenti e precipitanti, tali condizioni si sono sviluppate nel tempo e danno segni e sintomi individuabili nella persona.